I rifiuti non pericolosi si distinguono da quelli pericolosi in quanto non contengono sostanze nocive per l’ambiente
Innanzitutto è bene capire che cosa intendiamo con la parola “rifiuto“. La nostra normativa (art. 183, comma 1, lett. a, d. Lgs. 152/2006) fornisce una definizione generica e dispone che è da considerarsi rifiuto qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi. Ma qual è la differenza tra rifiuti non pericolosi e pericolosi?
I rifiuti non pericolosi, a differenza di quelli pericolosi, non contengono sostanze nocive per l’ambiente e gli esseri viventi. Per questo motivo la loro gestione è soggetta a prescrizioni meno stringenti rispetto alla categoria dei rifiuti pericolosi. Ciò nonostante la normativa prevede che il produttore di rifiuti non pericolosi debba rispettare una serie di dettami volti a disciplinare la loro gestione, il recupero o lo smaltimento.
Detto questo, è bene ricordare che la classificazione dei rifiuti non avviene solo in virtù della loro pericolosità, ma anche secondo la loro origine. A tal proposito si fa riferimento alla distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali.
Parlando di rifiuti non pericolosi, questi possono essere sia urbani sia speciali. Sono esempi di rifiuti urbani quelli domestici o quelli che provengono dalla manutenzione del verde pubblico.
La categoria dei rifiuti speciali non pericolosi raggruppa una lista di categorie. Tra queste troviamo ad esempio i rifiuti industriali o i rottami metallici.
Una categoria particolare è quella dei rifiuti sanitari non pericolosi, i quali sono assimilabili a quelli urbani, anche se provengono da strutture sanitarie. Si parla a tal proposito di materiale riciclabile non infetto come carta, vetro e plastica, o di pasti che provengono dai reparti non infettivi, ma anche materiale derivante dalla pulizia dei locali e dei giardini della struttura sanitaria.
Fatta questa breve precisazione su rifiuti urbani speciali, è bene concentrarsi sulle caratteristiche che ci consentono di distinguere un rifiuto non pericoloso da uno pericoloso. Vediamole nel dettaglio.
Codici CER rifiuti non pericolosi
Ogni rifiuto è riconducibile a un determinato codice CER. Questo codice e uno strumento fondamentale per la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi. Si tratta del “Codice Europeo Rifiuti” ed è una sequenza numerica composta da tre coppie di numeri (sei cifre in totale). La prima coppia specifica qual è la provenienza del rifiuto. La seconda coppia chiarisce qual è il processo che ha prodotto il rifiuto. La terza coppia, infine, definisce la tipologia di rifiuto generato.
L’elemento fondamentale per distinguere un rifiuto non pericoloso da un rifiuto pericoloso è la presenza o meno del simbolo “*” (asterisco) all’interno del codice CER. La presenza di tale simbolo specifica che si tratta di un rifiuto pericoloso. Quindi, per esclusione, alla presenza di un codice CER senza asterisco saremo di fronte a un rifiuto non pericoloso.
Vediamo un paio di esempi:
• 030101 – scarti di corteccia e sughero (l’assenza del simbolo * sancisce che si tratta di rifiuti non pericolosi).
• 060311* – sali e loro soluzioni, contenenti cianuri (la presenza del simbolo * chiarisce che si tratta di rifiuti pericolosi).
Deposito temporaneo
Con deposito temporaneo intendiamo il raggruppamento dei rifiuti antecedente alla raccolta ai fini del trasporto in un impianto di trattamento. Il deposito avviene nel luogo in cui gli stessi rifiuti sono prodotti.
Il deposito temporaneo avviene solo per categorie omogenee di rifiuti. La violazione di tale principio fa sì che si configuri il reato di gestione di discarica abusiva.
Esistono due limiti del deposito temporaneo: uno temporale e uno volumetrico. Il produttore di rifiuti può scegliere se inviare i rifiuti a recupero o smaltimento con una cadenza trimestrale, oppure farlo una volta raggiunti i 30 metri cubi di rifiuti in deposito, di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi.
La scelta del criterio temporale piuttosto che volumetrico è lasciata nelle mani del produttore. Naturalmente tale decisione sarà condizionata dalla quantità e dalle caratteristiche dei rifiuti prodotti dall’azienda, nonché dalle esigenze operative della stessa.
Si precisa infine che l’articolo 187, d. Lgs. 152/2006, prevede il divieto di miscelazione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Per approfondire leggi anche: Deposito temporaneo rifiuti | Regole, recipienti, etichette e sanzioni
Sanzioni
La gestione di rifiuti e il deposito temporaneo svolti in violazione della normativa di riferimento può comportare il verificarsi di una condizione di deposito incontrollato oppure di abbandono di rifiuti. Se tale condotta riguarda rifiuti non pericolosi ed è posta in essere da un soggetto privato la sanzione è di tipo amministrativo e può raggiungere i 3.000 €. Naturalmente la cifra aumenta nel caso di abbandono di rifiuti pericolosi.
Al contrario, se la condotta riguarda rifiuti non pericolosi, ma è posta in essere da un titolare di azienda oppure da un responsabile di un Ente, la sanzione prevede un’ammenda che può raggiungere i 26.000 € e l’arresto con detenzione sino a un anno. Nel caso si parli di rifiuti pericolosi la detenzione può raggiungere i due anni.
La gestione dei rifiuti (siano essi pericolosi o non pericolosi) è una fase molto delicata per l’azienda produttrice. Come visto è necessario rispettare i principi sanciti dalla normativa di riferimento al fine di evitare di incorrere in sanzioni.
L’affiancamento di un professionista del settore in grado di fornire una consulenza sulla gestione dei rifiuti può evitare inconvenienti spiacevoli, quali ammende amministrative e condanne penali.
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Articolo redatto da Paolo Alpa